Doveva essere una mattinata importante per i leghisti accorsi a Pontida ma anche per il governo.
Gli striscioni critici, i militanti incazzati, come direbbe il Bossi dei tempi che furono, i tanti temi all'ordine del giorno: la guerra in Libia, il federalismo, le quote latte.
Nessuno soddisfatto per l'operato di un governo che ormai è sentito lontano dai problemi del nord, tanti i desiderosi di quella libertà che l'andare da soli darebbe alla Lega Nord, pochissimi disposti ad ammettere che senza Berlusconi molte cose non si sarebbero potute realizzare e soprattutto che senza di lui non si potrà andare da nessuna parte. Altissime quindi le aspettative, per la maggior parte deluse.
Una base confusa, forse, impaziente anche durante il discorso di Umberto Bossi, vecchio leader che non sembra più capace di tenere le fila di un popolo che grida ancora “secessione” e “Padania libera” e che spera in Maroni presidente del consiglio il più presto possibile.
Ovunque i banchetti per la raccolta firme per lo spostamento dei ministeri al nord, una delle tematiche più scottanti e forse più sentite dal popolo leghista diviso tra chi quegli stessi ministeri avrebbe voluto chiuderli da anni nella lotta contro la burocrazia e il centralismo romano, e chi, invece, vede in tutto ciò l'occasione per spartire posti o dimostrare la diversità padana nella selezione dei dipendenti e dei dirigenti ministeriali. Una proposta che sembra essere inconsistente e populista e che non convince nemmeno gli elettori più attenti, una facile quanto inutile conquista per avere quel placebo temporaneo e dimostrare, ancora una volta, che il celodurismo della Lega vince sempre.
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